Contributo di mantenimento a seguito di separazione personale dei coniugi e assegno divorzile a seguito di scioglimento o cessazione degli effetti civili: natura e differenze

24.09.2020
a cura dell'avv. Federica Gessa

Nel linguaggio comune spesso si ritiene che contributo di mantenimento e assegno divorzile siano due modi diversi di indicare un unico concetto, quasi fossero sinonimi l’uno dell’altro. In realtà non è così atteso che, pur essendo entrambi modalità di corresponsione di un contributo economico a favore del coniuge più debole, prevedono presupposti e discipline differenti.

Il contributo di mantenimento è disciplinato all’art. 156, comma 1 del Codice civile secondo cui “il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri” al fine di soddisfare il dovere di solidarietà morale a materiale stabilito dalla legge a carico dei coniugi giacché con la separazione il vincolo matrimoniale non è ancora stato sciolto, potendo in un futuro le parti decidere di riconciliarsi ovvero di procedere al c.d. divorzio.

Entrambe le misure svolgono una funzione assistenziale e solidaristica al fine di consentire all’altro coniuge di poter provvedere al suo sostentamento e di adeguarsi alle nuove condizioni di vita; qualora l’esigenza assistenziale dovesse mutare il coniuge obbligato potrà richiedere la revoca o la modifica del provvedimento che ha disposto la corresponsione dell’assegno.

Entrando nel merito della questione i requisiti del contributo di mantenimento, enunciati nel citato art. 156, comma 1, c.c., sono:

  1. L’esistenza di una separazione legale;
  2. L’assenza di redditi propri in capo al coniuge beneficiario del contributo di mantenimento;
  3. La non addebitabilità della separazione al coniuge beneficiario;
  4. L’esistenza in capo al coniuge obbligato di redditi sufficienti a garantire il mantenimento dell’altro coniuge.

Il giudice al fine della determinazione del relativo importo deve inoltre considerare la disparità economica esistente tra i redditi dei due coniugi, altre circostanze rilevanti quali ad esempio l’esistenza di relazioni stabili con nuovi compagni ed il tenore di vita durante il matrimonio, essendo del tutto irrilevante “che, prima della separazione, il coniuge richiedente avesse eventualmente tollerato, subito o - comunque - accettato un tenore di vita più modesto”. (Cass. Civ., sez. I, sentenza n. 25 agosto 2006, n. 18547).

L’obbligo di mantenimento opera con efficacia retroattiva dal momento della proposizione della domanda del beneficiario e può essere corrisposto in un’unica soluzione o a cadenze mensili. Nel caso di mancato pagamento si potrà procedere in via esecutiva.

L’assegno divorzile invece viene corrisposto, a differenza del contributo di mantenimento, quando ormai il vincolo matrimoniale è definitivamente sciolto, quando non esiste più un nucleo familiare.

Proprio perché, da un punto di vista civilistico, il legame personale tra i coniugi è venuto meno, i presupposti necessari per la corresponsione di tale assegno ai sensi dell’art. 5 della Legge n. 898 del 1970, risultano essere molto più rigidi prevedendo oltre alla definitività della sentenza di divorzio e una situazione di necessità da parte del coniuge beneficiario privo di mezzi adeguati di sostentamento anche l’impossibilità oggettiva di poterseli procurare, ad es. per malattia o infermità. Il Tribunale dovrà inoltre considerare altri elementi quali: le condizioni reddituali di entrambi i coniugi, le ragioni della decisione, la durata del matrimonio e il contributo personale ed economico dato da ciascun coniuge nella conduzione della vita familiare.

Proprio su quest’ultimo requisito si sono susseguite numerose pronunce giurisprudenziali contrastanti, poi definitivamente chiarite dalle Sezioni Unite della Cassazione con sentenza n. 18287/18 con la quale gli Ermellini hanno sottolineano che “posto che l'assegno divorzile svolge una funzione non solo assistenziale, ma in pari misura anche perequativa e compensativa, continuando ad operare i principi di eguaglianza e di solidarietà di cui agli artt. 2 e 29 Cost., e che il diritto al riguardo del richiedente va accertato unitariamente, senza una rigida contrapposizione tra la fase attributiva (an debeatur) e quella determinativa (quantum debeatur), il giudice: a) procede, anche a mezzo dell'esercizio dei poteri ufficiosi, alla comparazione delle condizioni economico-patrimoniali delle parti; b) qualora ne risulti l'inadeguatezza dei mezzi del richiedente, o comunque l'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, deve accertarne rigorosamente le cause, alla stregua dei parametri indicati dall'art. 5, 6° comma, prima parte, L. n. 898/70, e in particolare se quella sperequazione sia o meno la conseguenza del contributo fornito dal richiedente medesimo alla conduzione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di ciascuno dei due, con sacrificio delle proprie aspettative professionali e reddituali, in relazione all'età dello stesso e alla durata del matrimonio; c) quantifica l'assegno senza rapportarlo né al pregresso tenore di vita familiare, né al parametro della autosufficienza economica, ma in misura tale da garantire all'avente diritto un livello reddituale adeguato al contributo sopra richiamato”.

L’attribuzione dell'assegno non dipende più, pertanto, necessariamente dall'accertamento di un effettivo stato di bisogno, ma "assicura tutela in chiave perequativa alle situazioni caratterizzate da un dislivello reddituale conseguente alle comuni determinazioni assunte dalle parti nella conduzione della vita familiare".