L’assegno di mantenimento è previsto dall’ordinamento al fine di soddisfare il diritto di tutti i figli, nati all’interno o al di fuori del matrimonio, ad essere mantenuti dai genitori fino al raggiungimento dell’autosufficienza economica, come previsto dagli artt. 143, 147, 316-bis, 337-ter c.c.
E’ una modalità di contribuzione indiretta introdotta dal legislatore al fine di ristabilire la misura della proporzionalità contributiva dei genitori nei confronti della prole a seguito della disgregazione del nucleo familiare; ad essa si contrappone una modalità di contribuzione diretta ove ciascun genitori contribuisce in prima persona ai bisogni della prole.
Ne consegue che, in caso di separazione, divorzio o regolamentazione dei rapporti nell’ambito di una convivenza more uxorio, i genitori, ovvero il Tribunale in caso di disaccordo tra gli stessi, dovranno disciplinare l’obbligo per il genitore non collocatario della prole di contribuire ai bisogni dei figli mediante la corresponsione di un assegno periodico, così che lo stesso possa adempiere al suo obbligo di concorrere alle spese necessarie alla crescita dei figli.
Si tratta di principio giurisprudenziale ormai pacifico che “la corresponsione dell’assegno è la modalità con cui un genitore provvede indirettamente e periodicamente alle spese connesse alle esigenze dei figli somministrando all’altro un importo con lo scopo di assicurare alla prole il soddisfacimento delle attuali esigenze e ad assicurargli uno standard di vita tendenzialmente analogo a quello goduto in costanza di convivenza dei genitori” (Cass. civ., sez. I, 20 gennaio 2012, n. 785).
Beneficiari dell’assegno di mantenimento sono non solo i figli minorenni, ma anche ai figli maggiorenni non economicamente autosufficienti e quelli maggiorenni portatori di handicap grave.
Per considerare raggiunta l’autonomia economica occorre focalizzarsi sul raggiungimento da parte del figlio di un livello reddituale adeguato alla professionalità conseguita, avuto riguardo alle normali e concrete condizioni di mercato. Non è, infatti, sufficiente l’ottenimento di un mero titolo di studio (Cass. civ., sez. I, 8 agosto 2013, n. 18974).
Una volta raggiunta l’indipendenza, se il genitore tenuto al versamento riesce a fornirne la relativa prova, il diritto alla percezione dell’assegno di mantenimento cessa. L’assegno verrà meno anche nel caso di inerzia colpevole, ovvero quando l’obbligato dia prova che il mancato svolgimento di un'attività economica (o di studio) da parte del figlio dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato a svolgere attività lavorativa (Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2011, n. 19589).
Se la prole invece ha raggiunto la maggiore età (ma non l’indipendenza economica), come detto, permarrà in capo al figlio il diritto ad ottenere un contributo al suo mantenimento; lo stesso potrà tuttavia richiedere al Tribunale, mediante la presentazione di apposito ricorso, che l’assegno di mantenimento venga versato direttamente a Sue mani e non più all’altro genitore (Cass. civ., sez. I,11 novembre 2013, n. 25300).
L’importo dell’assegno non è predeterminato ex ante dall’ordinamento: lo stesso potrà essere concordato tra le parti ovvero, in caso contrario, verrà stabilito dal Tribunale e varierà principalmente a seconda delle capacità reddituali e patrimoniali dei genitori (art. 337-ter comma 4 c.c.).
L’art. 337-ter c.c. individua quali primari parametri di riferimento ai fini della determinazione dell’entità dell’assegno di mantenimento le “attuali esigenze del figlio” ed il “tenore di vita goduto in costanza di convivenza con entrambi i genitori”. Lo scopo è quello di evitare che la disgregazione del nucleo familiare incida negativamente sui figli compromettendone di conseguenza la qualità di vita.
Altri parametri presi in considerazione dal legislatore ed idonei ad influire sulla misura dell’assegno sono i tempi di permanenza presso ciascun genitore (e quindi il mantenimento diretto),le risorse economiche e la valenza dei compiti domestici e di cura assicurati ai figli da parte di entrambi i genitori.
Proprio perché l’assegno di mantenimento è funzionale al soddisfacimento dei bisogni della prole, il Giudice, laddove avesse il sospetto che il reddito e/o patrimonio dichiarato da una parte sia differente rispetto a quello risultante dalle dichiarazioni dei redditi potrà disporre di indagini di polizia tributaria a mezzo della Guardia di Finanza.
La somma oggetto dell’assegno è soggetta a rivalutazione annuale per legge: il che significa che l’obbligato, anche in assenza di specifica domanda da parte del genitore che lo percepisce, dovrà provvedere autonomamente ad adeguarlo agli indici ISTAT.
Occorre precisare che l’importo dell’assegno potrà modificarsi nel tempo (in aumento o in diminuzione) laddove venga provata la modifica delle condizioni economiche e patrimoniale delle parti o delle esigenze dei figli, ad esempio è il caso di riduzione delle ore di lavoro del genitore obbligato.
Ne consegue che solo i mutamenti patrimoniali che determinano un effettivo depauperamento nel patrimonio dell’obbligato, valutato nel suo complesso, possono giustificare una richiesta di modifica dell’importo del contributo di mantenimento. Sarà onere di chi chiede la modifica dell’assegno di mantenimento provare l’esistenza di intervenute innovazioni.
Inoltre, il genitore che percepisce l’assegno periodico non potrà rinunziarvi in quanto non si tratta di un suo diritto disponibile, ma di un diritto del figlio.
Le esigenze soddisfatte mediante la corresponsione dell’assegno periodico sono quelle fisse della prole, non rientrando le spese straordinarie quali ad esempio libri scolastici, spese sanitarie urgenti, attività sportiva ecc.
Normalmente, infatti, le spese straordinarie sono ripartite in parti uguali tra i genitori e devono essere previamente concordate tra le parti. Il loro rimborso da parte del genitore che non le ha sostenute direttamente avviene tramite esibizione del giustificativo di spesa.
Modalità sostitutiva di contribuzione agli obblighi di mantenimento dei figli rispetto alla corresponsione del contributo di mantenimento periodico possono essere ad esempio il pagamento in un’unica soluzione dell’importo dovuto al figlio oppure, secondo la giurisprudenza, il giudice può imporre al genitore l’obbligo di pagamento della rata del mutuo sulla casa coniugale (Cass. civ., sez. I, 3 settembre 2013, n. 20139) ovvero può esserci il trasferimento al figlio di un immobile a titolo di contributo al suo mantenimento (Cass. civ., sez. I, 26 settembre 2013, n. 19589).